A CURA DI DON TOMMASO
DALL’ORATORIO DE LA VERGINE ALLA CHIESA DELLA BEATA VERGINE MARIA
Fin dal secolo XIII, fuori porta Carratica a Pistoia, è documentata l’esistenza della Chiesa di San Giorgio, che sembra comparire per ultima volta nei verbali delle visite pastorali agli inizi del Cinquecento. Non è del tutto certo che vi sia un diretto riferimento tra questa antica Chiesa di San Giorgio e la Chiesa od Oratorio della Beata Vergine Maria, posta fuori di Porta Carratica, chiamata “La Vergine”, che nel secolo XVII era compresa nel territorio parrocchiale di San Giovanni Fuorcivitas (forse si tratta della chiesa, che su questo vecchio disegno di Pistoia si vede sotto le mura della città, a sinistra della Via Fiorentina). Essa esercitava cura d’anime per i parrocchiani di San Giovanni, di San Paolo e di Santa Maria Nuova, che abitavano fuori città. La chiesa fu eretta in parrocchia nel 1783 dal famoso vescovo Scipione de’ Ricci (gran amministratore ma deposto dalla sede pistoiese come giansenista) a servizio del territorio suburbano fuori Porta Carratica. I suoi confini furono fissati con decreto del 20 marzo 1786. Risale a questa epoca l’aggiunta, come contitolare, di Santa Tecla. La chiesa fu ristrutturata sempre nel secolo XVIII. L’edificio realizzato a pianta rettangolare con navata centrale e navatelle laterali sostenute da otto pilastri laterali, presentava un’architettura neoclassica molto sobria ma apparentemente ben dotata di locali accessori, sagrestia e di una grande canonica. Sul retro si ergeva un campanile a pianta quadrata coronato da una cella campanaria anche essa di gradevole disegno neoclassico; la chiesa era dotata poi di un organo realizzato dagli Agati, completamente restaurato dall’organaro Giuseppe Tronci. Come attesta l’Annuario della Diocesi di Pistoia e di Prato in quel periodo la Chiesa della Vergine fu sede di una parrocchia con circa 5000 abitanti. Dopo secoli di esistenza l’aspetta purtroppo una brutta fine. Il 18 gennaio 1944 alle ore 18.00 ebbe inizio il bombardamento alleato di Pistoia attuato per tre ondate successive. Uno degli scopi degli alleati fu la distruzione della stazione ferroviaria. Il bombardamento colpì anche la vicina chiesa, che si trovava tra le attuali via Traversa della Vergine e via Monfalcone, alle spalle di uno scalo ferroviario (sul posto dell’attuale casa della della Famiglia Mariani) . Le cronache raccontano che le truppe alleate non esitarono purtroppo a servirsi dei muri diroccati della chiesa, della canonica e del campanile per riparare e ricostruire il viadotto che attraversa in quota la linea ferroviaria. Finita la guerra i parrocchiani e il nuovo parroco don Alfredo Alderighi, che sostituì don Serafino Bogani, attivarono un comitato per la ricostruzione. Il 16 ottobre 1946, in una saletta messa a disposizione dall’Arciconfraternita della Misericordia, veniva effettuata una prima assemblea dei parrocchiani con lo scopo di costituire un comitato per la ricostruzione della chiesa. Il comitato decise di non riedificare l’edificio dove era e come era; infatti “…la preesistente chiesa, in seguito alla ricostruzione della ferrovia e della stazione della città , veniva a trovarsi affiancata allo scalo merci, divisa dal nucleo principale delle abitazioni dalla ferrovia, e quindi non rispondente alle richieste di raccoglimento e di accessibilità “. Intanto nell’anno 1946 viene costruita una cappella promissoria, dove vengono celebrate le funzioni liturgiche. Dopo l’ulteriore ampliamento di questo edificio, si ricava anche l’abitazione per il parroco – don Alfredo Alderighi. Successive assemblee popolari confermarono gli orientamenti avanzati dal comitato e si individuò anche l’area da utilizzare per la nuova edificazione: si trattava di un lotto di proprietà Capecchi, coltivato a vivaio e contiguo ai terreni della villa Martino Bianchi per il quale erano in fase avanzata trattative per l’acquisto. Nel febbraio 1947 il progetto della costruzione viene affidato all’architetto Giovanni Michelucci e all’ingeniere Alessandro Giuntoli, che presto presentano le loro idee: si tratta di un edificio con semplice copertura a capanna, apparentemente realizzato in pietra, corredato di campanile (al lato dello schizzo compaiono varie versioni alternative di campanile), dotato di un breve pronao, soluzione che porta alla mente lo studio dell’architettura rurale toscana attuato poi per la chiesa di Collina. Di quel progetto della chiesa del 1947 sviluppato poi in due varianti, nell’opera compiuta non rimane niente, se non l’organizzazione dello spazio sacro, a navata unica con breve transetto e campanile sulla destra, a vela come quello attuale. Il secondo progetto viene approvato dalla Pontificia Commissione Centrale per l’ Arte sacra in Italia il 06.09.1947. La pianta a croce latina a bracci inclinati, propone uno spazio interno semplice ed austero, caratterizzato da 14 nicchie laterali, sette per lato, ricavate da pronunciate lesene, e destinate ad ospitare le stazioni della Via Crucis; l’ingresso alla chiesa è filtrato da una sorta di pronao che ospita a sinistra il fonte battesimale, e a destra una curiosa cappella destinata all’officio dei matrimoni. Il campanile a vela è impostato sul bordo del transetto; l’edificio è illuminato solo da una grande facciata inclinata frontalmente. Ma ciò che maggiormente caratterizza questo secondo progetto, è la grande struttura che sovrasta l’ingresso, una sorta di “ rocaille” barocca in marmo e bronzo che sembra voler riequilibrare la semplicità dell’impianto di insieme. La proposta michelucciana non incontra l’approvazione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che il 29 luglio 1949 ritiene che “la parete componente e sovrastante il portale d’ingresso, di ispirazione barocca, sia poco intonata al resto dell’edificio”. Questo giudizio non interrompe l’iter dell’istanza avanzata già nel novembre dell’anno precedente dal vescovo Giuseppe Debernardi che chiede al Magistero dei Lavori Pubblici di ottenere il finanziamento della ricostruzione della chiesa in virtù della legge del 27 giugno 1946. Nel settembre 1949 Giovanni Michelucci ridisegna lo schema del progetto della chiesa e il 27 ottobre la nuova proposta viene accettata dalla Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra. Il progetto del 1949 sottolinea infatti con evidenza il ricordo del fianco della Chiesa di S. Domenico a Pistoia non solo per l’uso del mattone, ma per il ritmo delle lesene di rafforzamento, per l’essenzialità della articolazione complessiva degli spazi e per la ricerca di un’essenzialità di forme “di spirito francescano” che si ripercuote anche nella scelta dei materiali (mattoni, cemento armato e rivestimento in pietra per il basamento). Lo spazio interno mantiene invariata l’organizzazione rispetto alle versioni precedenti, fatta eccezione per l’esistenza del corpo retrostante l’altare e per l’interessante baldacchino a “vela” che sovrasta l’altare; nel progetto la luce piove prevalentemente dalla grande vetrata sovrastante il coro attraverso croci intagliate di marmo bianco, al quale effetto fanno equilibrio ben 264 feritoie collocate entro nervature secondarie all’interno della spartizione delle lesene principali. Queste non tanto danno luce ma servono a creare le dimensioni delle pareti laterali all’interno della chiesa. Il campanile è a vela come nei primi progetti, sul lato esterno del transetto destro. I bracci del transetto convergono verso l’aula incrociandosi nell’altare maggiore, mentre gli altari minori occupano gli spazi estremi degli stessi bracci; contemporaneamente si definisce lo spazio dietro l’altare, costituito dal coro e dalle sacrestie. Di questo impianto esistono due versioni diverse, ambedue con la data di accettazione della Commissione Pontificia del 27 ottobre 1949 e firme autografe dei progettisti (Michelucci e Giuntoli). Il Ministero dei Lavori Pubblici accolse la richiesta del Vescovo di aggiornamento dei prezzi, e con decreto del 9.2.1954 venne rideterminato il contributo complessivo per i lavori alla Vergine in £ 43.800.000. Nel mese di luglio l’ing. Mario Giampaoli, incaricato di dirigere i lavori, consegna il cantiere alla ditta Minnetti di Pieve a Nievole. Le opere avrebbero dovuto svolgersi e concludersi in 370 giorni. Le grane non si fecero purtroppo attendere: nell’agosto successivo, l’ing. Minnetti presenta a Michelucci la sua titubanza per l’incapacità dei fianchi dell’edificio a resistere, a suo giudizio, alla sollecitazione del vento. Dopo queste incomprensioni i lavori vengono riappaltati alla impresa Costruzioni Edili Industriali di Bologna, di fiducia dell’architetto Michelucci. L’attività di cantiere riprende in pieno nel febbraio 1955, avvalendosi anche di un nuovo direttore dei lavori, l’ingegnere Natale Rauty. I lavori procedono, anche se non mancano problemi tecnici: la scarsa qualità del piano di fondazione rende necessario l’uso di palificate in pino che comportano uno scostamento dalla perizia di £ 770.000; viene risolto il problema di garantire una adeguata resistenza ai carichi orizzontali, cioè al vento, delle pareti della chiesa, mediante un incremento delle misure nelle nervature in mattoni adeguatamente collegate con ricorsi orizzontali in calcestruzzo armato. In una nota destinata alla Curia Vescovile del 5 luglio 1955 redatta da Rauty, sono ricapitolate le modifiche:
1) la riduzione di circa 100 delle feritoie laterali che da 256 diventano 150.
2) la eliminazione delle grandi vetrate con elementi trasparenti di marmo sui prospetti anteriore e posteriore e sulle cappelle.
3) la modifica della cantoria con l’eliminazione delle scale incassate.
4) l’avanzamento del campanile a fianco dell’ingresso principale e la precisazione della sua struttura.
Il Vescovo approva questi cambiamenti il 27 luglio successivo e insiste che i lavori si concludano in breve tempo. Alla fine del 1955 la chiesa è ultimata: la parte bassa viene tamponata in modo tradizionale. L’effetto finale richiesto di muratura in pietrame viene ottenuto con lastre di calcare rosso di Verona, a spacco, sulla cui faccia esposta sono visibili in qualche punto belle ammoniti fossili. Si evidenzia in modo più chiaro il campanile, memore nelle sue linee della architettura di August Perret che proprio in quei giorni ha felicemente rivisitato con il progetto della chiesa di Lardarello. Infine la copertura dell’ingresso con una leggera soletta definiscono un progetto perfettamente funzionale e recuperato alla tradizione. Michelucci viene sollecitato a predisporre i disegni per gli arredi interni, il coro, il fonte battesimale, l’altare, l’acquasantiera, la balaustra, i cancelli, i portoni. L’ultima proposta della chiesa depositata presso la Curia Vescovile porta la firma di Michelucci e la data del 27 luglio 1955. Sabato 16 e domenica 17 giugno 1956 si svolsero le manifestazioni e la cerimonia per la riapertura della chiesa. Mancavano ancora alcuni arredi, soprattutto il crocifisso sovrastante l’altare maggiore e la Via Crucis. A proposito del Crocifisso sembra infatti che Michelucci stesso, nel frequentare la fonderia di Pistoia, abbia notato ed apprezzato il giovane Jorio Vivarelli, dipendente della fonderia stessa. Vivarelli scolpisce nel legno una grande crocifissione, che applica poi ad una semplice e rustica struttura di croce raggiungendo un risultato di grande intensità. Il Crocifisso, dono della …. , viene offerto alla Parrocchia il 26 giugno 1956. Infine Michelucci imposta la realizzazione di un complesso di stazioni di Via Crucis affidate nel tempo dallo stesso a diversi artisti. Le varie opere sono stilisticamente differenziate: gli artisti fanno uso di materiali tra loro diversi, terracotta, pietra, malta di cemento e diverse sono anche tecniche, dimensioni e collocazione. A differenza della Chiesa di Collina, la Chiesa della Vergine piace ai parrocchiani, forse parchè, come sostiene Michelucci stesso, “porta con sé un po’ di quel che è già nella città; è, cioè, pistoiese. Dal 15 ottobre 2010 con il decreto del Vescovo Mansueto Bianchi è stato cambiato il nome della nostra chiesa: da “Chiesa delle Sante Maria e Tecla in La Vergine” (che era poco chiaro, perche non si sapeva di quale Maria si trattava) a “Chiesa della Beata Vergine Maria e Santa Tecla in La Vergine”.
Sarà invece il campanile a destare incertezze nella gente: viene considerato come provvisorio, non finito, forse troppo ardito architettonicamente e quindi non compreso né apprezzato come lo stesso architetto si sarebbe aspettato. Bisogna però aggiungere che senza il campanile cosi snello la sagoma della chiesa sarebbe troppo pesante. Sul campanile sono state messe due campane. Su quella più piccola (appesa verso il nord) è scritto: DOM. ANT. CARI DI PISTOIA E GIO. BATTA FIGLIO E FRATELLI F. M D CC L XXX VI (Dominus Antonio Cari di Pistoia e Giovanni Batta figlio e fratelli 1786). Da ciò risulta che questa campana è stata offerta proprio nell’anno, in cui sono stati fissati i confini della Parrocchia de la Vergine. Sulla seconda campana (quella del lato sud del campanile) si può leggere: TERZO RAFANELLI E FIGLI FONDITORI IN PISTOIA – FUSA ED AMPLIATA A SPESE DEL PARROCO NICCOLAI ANDREINI E DE POPOLO DELLA VERGINE 1859.